L'ATELIER

 

Non saprei dire se a segnare la fine della serata fosse stato uno degli eccitanti amari che ci vennero serviti, ma sta di fatto che improvvisamente ci ritrovammo tutti assieme sulla scala a chiocciola che conduceva al garage e poi in diverse automobili scivolanti quasi senza rumore lungo il lucente viale appena lavato. Ed è anche difficile ricordare con certezza se fossimo a Sofia o a Salonicco, o forse addirittura a Istanbul, perché la sonnolenza ha una sua propria geografia; comunque la destinazione finale fu l'atelier di qualcuno, un  pittore, semibuio ma del tutto confortevole. Eli, la piccola padrona di casa, esibì dei bicchieri, differenti per forma e origine, che subito vennero riempiti con un fragrante spumante. Mandorle, dolcetti al sesamo e noccioline indiane...Chiacchierio.    

C'erano alcuni pittori e tutti diedero volentieri un'occhiata alle tele, cavalletti, tavolozze e colori dall'odore acre, sparsi quasi sbadatamente e in quantità all'intorno, nella parte più ampia dell'atelier. In fondo al quale da qualche parte, dietro passaggi sinuosi, frammentati, dove ci aveva attratti la curiosità, Eli e alcune altre ragazze avevano acceso dei bastoncini di sandalo e mandato Équinoxe a tutto volume. D'un tratto tutto il rosso divenne più rosso, tutto il giallo più giallo, tutto il verde più verde, tutte le fluorescenze più fluorescenti. 

Il nostro ospite non la finiva più di raccontare dei suoi guerrieri bizantini ciechi, un tema che sembrava ossessionarlo in una particolare maniera chagall-escheroviana, assolutamente pazzesca. I suoi guerrieri bizantini erano dei volatori che, al pari delle oche selvatiche bianco-nere di Escher, si compenetravano in volo. Parlava con trasporto delle deliziose  tonalità delle terre colorate ed effettivamente era riuscito a cogliere la patina inconfondibile degli antichi  affreschi, quella stantia velatura di colori impalliditi, che mutando diventano vaghi e più belli. Ma le spade incrociate! Ah, i suoi incroci di spade erano del tutto scomposti, psichedelici. Sembrava che, librandosi su città e villaggi, si dimenassero continuamente in tutte le direzioni e che inoltre si divincolassero dalle mani dei guerrieri bizantini ciechi fluttuando per l'atelier, colorando in variopinte tracce di luminescente neon la densa emulsione di fumo di sandalo, tabacco e vapore.

In fondo all'atelier i rumori si stavano smorzando. I pittori che, un po' alla volta, si erano dispersi senza aver ascoltato fino alla fine il racconto sui guerrieri bizantini ciechi, erano già tutti appisolati nelle vecchie poltrone, in pose strane, proprio come le modelle che si erano per l'appunto accinti a ritrarre. Uno degli ospiti improvvisamente se ne andò, e poi altrettanto improvvisamente ritornò. Un altro, a sua volta, non faceva che fissare il vuoto. Avvolte in una nuvola di fumo, le tre ragazze stavano lentamente ballando fra loro.

„Non c'è verso, comunque, che i critici lo comprendano“, disse l'anfitrione non senza una certa supponenza e con un gesto di disprezzo. In effetti quelle furono le sue ultime parole importanti perché, dopo, si diresse a prendere ancora da bere, ma, stranamente, non fece ritorno, quasi si fosse perduto nella profondità del torpido labirinto.

Non ricordo se l'attesi a lungo davanti a quel bizzarro paravento–pittura a zigzag con i guerrieri bizantini, ma ad un tratto anch'io mi sentii prostrare da una crisi di sonnolenza. In verità, forse stavo già dormendo, così, in piedi, le pupille spalancate, gli occhi doloranti a fissare l'ambiente già un pochino ottenebrato, che lentamente si andava assopendo. Non potrei affermare di essermi spostato, ma ebbi per tutto quel tempo la sensazione di camminare per l'atelier semibuio spegnendo delle candele sferiche che continuavano tuttavia a baluginare debolmente dal fondo dei loro corpi cerosi.

L'atelier, che si espandeva in tutte le direzioni e in modi che gli conferivano un certo qual senso assolutamente irreale, sembrò ad un tratto vorticare energicamente attorno a noi, in realtà attorno a se stesso, bruscamente allungandosi in una profonda, variopinta, imbutiforme tromba, la quale, simile a un incontenibile turbine, risucchiava gagliardamente tutta quell'atmosfera, tutto lo spazio e gli oggetti impazziti, frantumava in prismatiche particelle la curva di luce lampeggiante, aspirando avida i colori ad olio dai tubi e dalle scatole coperte di macchie, leccando le tavolozze e i pennelli rinsecchiti, mordendo i gessi e i pastelli dalle tonalità e sfumature indescrivibili, finché, presa da un'esaltazione insaziabile, non vomitò tutto in pastosi grumi generosamente pollockiani sulle pareti rigonfie, pronte ad assorbire a fresco quell'inusuale incubo orogenetico. 

E tutto ciò avveniva in una specie di quarta dimensione, indefinibile, la quale, simile alla doppia esposizione nei vecchi film con le anime che abbandonano i corpi dei defunti, compenetrava tutt'intero lo spazio dell'atelier e noi tutti là dentro. Perché, nel mentre tutto ciò succedeva, mentre tutto si deformava, liquefaceva ed effondeva in un turbinoso movimento centrifugo sparpagliandosi in ogni direzione, io osservavo tranquillamente, in un puro bianco e nero dagli  eleganti contorni e sfumature, osservavo dunque in quella doppia esposizione, come su un monitor di computer ad altissima risoluzione in tre dimensioni assolutamente nitide, l'intero atelier addormentato, il suo disegno architettonico a tutto tondo, finemente elaborato, i bordi dei volumi armoniosamente ordinati nelle trasparenti inquadrature degli spazi, i larghi pannelli delle pareti, i loro margini  e le divertenti aperture, le porte, le volte, i soffitti e i pavimenti a più livelli, i mobili spaiati di differenti stili, le poltrone e i tavoli, le snelle bottiglie e i bicchieri, perfino l'ondeggiante fumo delle sigarette e, ovviamente, le minuscole macchiette degli scapigliati pittori–edonisti appisolati. Era tutto lì. Eppure quei mondi non si sfioravano affatto.   

„Che cosa è mai balzato fuori da queste teste letargiche ? “ – mi chiesi mentre attraversavo l'atelier, io stesso intersecato e trafitto dagli ologrammi fluorescenti delle complesse strutture geometriche e screziato dai vibranti riflessi vivacemente colorati di quel caleidoscopio rovesciato nel quale rotolavamo precipitando chissaddove. Che le loro fragili mezze idee e incompiuti pensieri fossero sfuggiti al controllo? Oppure erano nient'altro che bizzarre immagini sbriciolate, viste con l'occhio interiore di quei dormienti disperatamente spensierati ?

L'atelier rigurgitava della stordente segnaletica morfeica e sembrava essere solo questione di attimi prima che cadessimo tutti in una condizione di vertiginosa iperventilazione per poi affondare in una profonda, irreversibile incoscienza.

Cercai un po' d'aria sul minuscolo balcone, sghembo e ipsofobico, della mansarda, dalla quale sembrava penzolare come un cassetto in procinto di cadere dal proprio supporto. E veramente, non appena posai delicatamente i piedi sul sottile aggetto, d'un colpo si rovesciò fuori dalle grosse colorate melagrane, sul lato esterno della pacchiana balaustra in ferro battuto, qualcosa di simile a una manciata di chicchi purpurei che tinnirono lontano, in profondità, sul marciapiedi.

Non so se quanto successo fosse una specie di segnale, comunque laggiù la scena divenne improvvisamente incredibile. Lentamente e silenziosamente, trasparenti come meduse azzurrine aleggianti nell'aria rarefatta, incominciarono a uscire da tutti i portoni sogni agitati, dormiveglie e insonnie, fobie e incubi, sciamando in surreale, incantata moltitudine nel viale. Nella penombra in alto sulle facciate, sopra le cupe fronde del viale, acefali sospetti, trepidazioni e pene, appesi ai davanzali di marmo delle finestre, alle balaustre dei balconi e alle tettoie, attendevano pazientemente il proprio turno per precipitarsi a rotta di collo lungo i montanti delle grondaie e dei parafulmini. D'altronde molti pensieri segreti e speranze bruscamente risvegliate dai sogni, ebbre di lontani richiami provenienti dalle campane di mezzanotte, scrutavano confuse la prospettiva rovesciata dell'abisso, si calavano come liberi scalatori procedenti in senso contrario, coraggiosamente a capofitto lungo le scanalature delle facciate dei palazzi con le loro ombre oblique. Del tutto senza motivo e assolutamente disperati, solamente i sogni si avventavano, alla stregua di parapendisti dissennati, giù dai tetti piani nella profondità della notte sulla città intorpidita. 

Il silente clamore delle insonnie rotolava lungo il gigantesco plastico dei marciapiedi e dei viali, si tuffava nelle fauci tenebrose dei sottopassaggi e da qui defluiva in varie direzioni. Inadatti a codesti sfolgorii di follia, i semafori sfrenati si prendevano gioco delle strutture plasmatico-prismatriche di quella torma brugheliana oltremondana, che si incrociava e compenetrava in ogni direzione senza alcuno spintonamento né collisione.

Probabilmente in qualche posto in lontananza, là ai margini del parco  e del laghetto, sfrenate automobili notturne investivano anche mortalmente quei fiacchi sogni-sonnambuli e le sonnolenti insonnie, i quali – digraziatamente - attraversavano incauti come ricci boschivi la strada nel punto sbagliato; però vidi, e del tutto chiaramente che, sbucando timidi dalla semioscurità nel vicino crocevia, i sogni si avvicinavano alle macchine che gli si accostavano e con misurati gesti slow-motion indicavano ai guidatori in che direzione dovevano procedere.

Forse fu null'altro che un attimo strappato a un'apparizione aliena, tuttavia la sacralità di quell'incorporeo pellegrinaggio mi travolse bruscamente e con forza: o, anche, forse accadeva solo perché lì, alle mie spalle, nell'atelier, percepii ad un tratto un vigoroso frullìo come quello di centinaia di ali. „Donde adesso i pipistrelli?“ – pensai e cercai riparo nella chiusa penombra della mansarda. I pittori e le ragazze  erano ancora sparpagliati tutt'intorno e addormentati come adolescenti ubriachi dopo una festicciola. Bottiglie e bicchieri rovesciati, e vini aromatici versati si spandevano sul pavimento formando graziosi acquerelli... Ma nel cielo del soffitto smembrato svolazzavano in ogni direzione enormi pipistrelli-quadro. In effetti l'atelier era una profonda caverna piena zeppa di meravigliosi volatili multicolori, che decollavano dai cavalletti e dalle pareti sbrigliando la fantasia in tanti stormi larghi e irrequieti. Circolavano proprio rasente il soffitto per poi piombare improvvisamente sulle teste dei pittori-dormienti, attorcigliando i propri artigli alle loro capigliature scarmigliate, sottraendo qualche altro dettaglio dimenticato, ancora qualche pennellata da deporre sui pittoreschi pannelli delle proprie ali che, viste così in volo, riempite d'aria, acquistavano una profondità quasi absidale. I guerrieri bizantini ciechi erano finalmente ai propri posti,  sugli affreschi delle cupole volanti dei monasteri che si innalzavano e abbassavano, provenivano dai sogni e sonnolenti, incompiutamente animati, con gesti discontinui brandivano le proprie spade fluorescenti, sollevando i possenti scudi istoriati fino all'altezza dei lunghi volti barbuti, fino ai luccicanti elmi orlati di gemme.

I pipistrelli-quadro volavano sempre più in basso e più omogenei, in ondate circolari, concentrandosi man mano attorno alla mia testa. Ero l'unico elemento verticale vivo, l'unico parametro esterno al sonno per i loro strani richiami morfeici, l'unico che sotto gli assalti delle loro ali dipinte sussultasse spaventato, la nuca serrata in lugubre spasmo. Ce n'erano sempre di più, sempre di più. Da tutti i cassetti e blocchi di disegno si alzavano in volo piccoli pipistrelli-foglio con i loro schizzi e annotazioni, poi pipistrelli-guazzo, pipistrelli-grafica e incisione,  pipistrelli-litografia e pipistrelli-acquatinta, pipistrelli-esperimento, pipistrelli-quadrati-bianchi-su–quadrato-nero  e pipistrelli-quadrati-neri-su-quadrato-bianco...Presero ilvolo anche tantissime tele appena approntate per essere dipinte: le bianche ali spiegate, quei graziosi pipistrelli-sposa si libravano sull'atelier come tanti albatri, quasi in sordina, proprio rasente il soffitto, sfiorando pareti e oggetti.

E allora, tutto ad un tratto, come trasportati da un proprio misterioso intimo gioco, i pipistrelli–quadro s'involarono con risoluti colpi d'ala verso la porta del balcone. Benché l'atelier ne fosse ingombro, si riversarono armoniosamente in gioconde ondate nel cielo buio sulla città. L'atelier-caverna velocemente si svuotò, solo l'enorme paravento-quadro a zigzag con i guerrieri bizantini svolazzò brevemente, simile a una specie di archeopteryx-mamma, in giro nello spazio profondo, risucchiato e completamente frastornato, per stanare qualche eventuale pipistrello-schizzo rimasto indietro; poi se ne andò anch'esso.      

 

Traduzione di Elis Geromella Barbalich