DIVARIO

 

Credo che l’arte e la politica non siano mai sta­te in rapporti amichevoli. I loro apparenti le­gami, in un contesto del genere, scaturiscono in effetti dal loro eterno antagonismo, da una con­trap­posizione estrema e cronica, da un prisco sfidarsi a vicenda. E’ un antagonismo insito nella natura stessa della politica, ma anche dell’arte: quanto la prima è essenzialmente aggressiva, dis­posta a imporre unicamente i propri modelli, sem­pre contratta nello spasimo di istituzionalizzarsi e di elevarsi a potere, per essere poi in grado di ini­bire, con mezzi storicamente collaudati, qual­siasi attacco nei suoi confronti, tanto l’altra è doci­le, aperta al vasto ambito – sia spaziale sia tempo­rale – della coscienza umana, indifferente al potere materiale quando sia mezzo per imporre altrui la propria volontà.

L’arte pone questioni eternamente attuali, cui ognuno può rispondere secondo le proprie con­vinzioni e la propria visione della vita e del mon­do: la politica ha sempre le risposte pronte, risposte che è pericoloso mettere in dubbio. L’arte amplifica il mondo; la politica lo uniforma. Sia la politica che l’arte richiedono sacrifici, ma la prima nel con­tempo estorce sempre sacrifici umani in massa, in­vece nell’arte i sacrifici sono sempre individuali e volontari. La politica mette l’uomo in pericolo, l’ar­te lo consola. La politica richiede spiriti concilianti, l’arte è irreconciliabile. Per questo la politica si oc­cupa di arte e l’arte di politica, ognuna a suo modo: la prima vorrebbe imporre ambiti duraturi, stabi­lendo nei dettagli i percorsi lungo i quali si può e si deve accedere all’arte; la seconda, continuamente vagolando lungo i suoi fantasticati sentieri, ritrae la politica nella sua vera luce. La politica cerca di conquistarsi vasti spazi, ma ne è impedita dai li­miti che essa stessa impone; l’arte invece non co­nosce confini, il suo spazio è quello sconfinato del­lo spirito umano.

Esse non vanno mai a braccetto. Ciò che tal­volta appare come un loro accordo è soltanto una questione di indispensabile tolleranza. La politica tollera cioè l’arte alla scopo di procurarsene l’ap­poggio, mentre l’arte fa di tutto per sopravvivere nel­l’ambito di una determinata politica. Ma arriva sempre il momento in cui si dividono. Perché la po­litica non è mai del popolo quanto lo è invece e da sempre l’arte. Nella storia dell’umanità i popoli si sono sempre lagnati della politica, mai dell’arte.

La storia ha smentito da un pezzo un loro chi­merico amalgama. Crediamole, cosí compren­de­remo meglio ogni fuggevole parvenza del genere. Tanto più che ognuna per suo conto ha un rappor­to particolare con il tempo: la politica è si­gnora del momento, ma già l’attimo seguente deve cede­re il passo a qualche altra politica; l’arte è fuori del tempo, che le si sottomette incondizionatamen­te. Basti pensare a tutte le nuove leggi e emenda­men­ti di legge che ogni nuovo governo deve in breve tempo emanare per ridurre la vita entro i parametri della propria visione politica: con ciò non fa che confermare quanto vi è in essa di effi­mero e camaleontico. In verità, nel corso della sto­ria, tutti i grandi sistemi sociali hanno saputo darsi un’infinità di volti e di maschere per fronteggiare le pressioni della coscienza politica che cambia e l’incalzare di nuovi ordinamenti sociali: tuttavia alla fine sono stati tutti battuti. Anche l’arte natu­ral­mente è soggetta a queste leggi dialettiche, ma è fuori discussione che le opere fondamentali del­l’arte mondiale, anche quelle antichissime, domi­na­no ancora sempre incontrastate sullo spirito umano, edificandolo e elevandolo con la forza del­la pro­pria originalità, educandolo alla bellezza e al­l’umanità, parlando dell’uomo di ieri come se fos­sero state create per rendere testimonianza del­l’uomo di oggi e di sempre. La persistenza di un’o­pe­ra d’arte non è negazione della dialettica, bensí, al contrario, la sua conferma nella maniera più ori­ginale: ossia tramite la sua ermetica stratificazione, perennemente misteriosa e la cui decodificazione dura nei secoli. Le di­verse interpretazioni delle opere antiche evidenziano in maniera esemplare i mutamenti succedutisi nel complesso dello spirito umano, i quali in effetti interpretano l’Idea, alla quale i secoli si approcciano da angolature diffe­renti. Una cosa è comunque certa: una grande ope­ra d’arte sempre e daccapo incita, ispira e agisce con intatta forza, forza che sempre e daccapo invochia­mo, che ammiriamo e sulla quale sempre e daccapo continuiamo a costruire. In questo senso tra gli antichi maestri dell’arte e i pochi odierni non sem­bra esserci alcuno iato temporale. Forse la politica spicciola riuscirebbe anche a farli litigare, ma è molto probabile che Omero e Cer­van­tes, Dosto­jevski e Márquez troverebbero facilmente un lin­guaggio comune, almeno per quel che riguarda l’arte. D’altro canto, in che cosa consiste invece la continuità politica? Nell’incessante tentativo di sistemare le cose che la politica stessa ha rovinato. In questo senso è stata sempre l’arte che ha aperto gli occhi alla politica, ma nessuno è più cieco di chi non vuol vedere né più pericoloso di chi bran­disca un’arma a occhi chiusi. Cosí è con la po­litica.

Come mai si hanno allora tanti artisti impe­gnati in politica e tanti politici dediti all’arte? Il fenomeno, più preoccupante che esaltante, ha cer­tamente una scaturigine di natura psicologica. L’ar­tista sensibile sembra essere irresistibilmente attratto dalla seducente pompa degli ammenicoli politici, dalla presunta virilità del potere, dalle armi, anche; dal canto loro i politici, occupandosi d’arte, sembrano quasi voler attestare la propria uma­nità nascosta. Ma vediamo che cosa rimane dell’arte dei politici e della politica degli artisti: null’altro che un inestricabile coacervo di idee con­fuse sull’una o sull’altra. Appunto. E qui torniamo all’inizio, ai sedicenti concetti artistici che ogni so­cietà proclama validi, a quegli imperativi del momen­to storico, ecc. (cosí spesso menzionati anche oggi), di cui il tempo ha da un pezzo fatto giustizia, tanto che le “significative opere d’arte” di ex politici di effimera attualità sono finite nel dimenticatoio non appena è scaduta la loro fruibilità politica; d’altro canto molti artisti sono affondati – alcuni, ahimè, pro­p­rio sotto i nostri occhi – nel buco nero della politica, perché hanno voluto cercare in essa quell’amore della verità cosí immanente all’arte. E se anche ne rimanesse qualcosa, sarebbe comun­que e soltanto arte.

 

Traduzione di Elis-Barbalich-Geromella

„La battana”, Fiume, gennaio-marzo 2000, numero 135, pag. 79-81.